L'educazione del fanciullo e la sua risposta agli stimoli proposti dalla società è da sempre argomento di dibattito tra i grandi pensatori: da Platone che pone l'importanza della formazione intellettuale dell'individuo, a Freud che ne analizza il subconscio, questa tematica non è mai rimasta in disparte. Questa è la quinta volta che provo ad iniziare a scrivere; una volta l'app si chiude inaspettatamente, la seconda si viene interrotti per aiutare un amico con la verifica ai corsi serali, la terza perché le interruzioni mi hanno fatto perdere il filo e i miei pensieri non si sono salvati... E via dicendo fino ad ora. Sembra non sia destino questa sera, ma ho intenzione di sfidarlo questa volta. Questo post sarà frutto di tentativi, a questo mi dovrò rassegnare, tentativi sconnessi da minuti, forse ore ormai, considerando tutto ciò che dovrei/vorrei scrivere, qui, nel racconto per domani, nella mail e nei messaggi, di cui vi parlerò di seguito. Il racconto forse lo pubblicherò, ogni anno la mia professoressa di italiano mi "chiede" di partecipare ad un concorso scrivendo un tema nonostante, in coscienza, già so che non vincerò mai. Sono i classici temi sull'ambiente e la salvaguardia del pianeta. Ma questa volta è in chiave diversa, una bambina che racconta ai suoi amici la ninnananna della nonna. Oltretutto, oggi dopo due ore di ripetizioni di matematica in vista della verifica di domani, mi sono rifiutata di "studiare" italiano. Lo rileggerò domattina in tram, devo solamente ripassare qualcosa come quattro movimenti, quindici autori e relative opere con commento. Adoro quella professoressa, però sono davvero troppe cose. Comunque sia, non era di questo che avevo intenzione di raccontare ma di un sogno premonitore, uno di quelli che sai di essere frutto del tuo subconscio che spera in qualcosa di improbabile proiettato sfocatamente nella mente nel buio della notte. Un sogno strano di parole che non sembrano coerenti con la persona che le pronuncia. Eppure quei contorni tremolanti si sono fatti vividi sullo sfondo del telefono l'altra notte. Nulla di eclatante, sia chiaro, una semplice frase "dobbiamo ritornare a parlare..", ma terribilmente simile a quella già conosci e in cui speravi; una semplice frase che lascia aperte tante porte. È stata una sorpresa inaspettata, una di quelle che ti rendono la giornata migliore. Spero soltanto di non rimanerne delusa come - troppo spesso - accade. È strano perché proprio qualche giorno fa ho parlato delle persone che ho incontrato, che non ho dimenticato, di cui ancora mi importa nonostante non siano nella mia vita. L'altra "sorpresa" è stata una risposta ad una mail il cui contenuto ho riassunto in cinque righe (per non dilungarmi troppo e non scadere nel classico mattone) dopo più di mezz'ora di studio accurato delle parole. Non so mai cosa scrivere nelle mail, o meglio, come scrivere senza invadere un registro che non dovrei usare, non consono o, semplicemente, non sbagliare. Ma forse sono semplicemente io che mi faccio troppe remore, forse dovrei lasciare fluire i pensieri come sto facendo questa sera, forse, forse... La mia vita e la mia coscienza sono tormentate da questi "forse", questa costante e snervante incertezza che mi spinge a pensare troppo, mi limita, mi incatena, mi proibisce di arrivare fino in fondo ad alcune scelte istintive, quelle che non sono sempre sbagliate, sono semplicemente più affrettate. Ora dovrei rispondere a quell'email, tanto ricca quanto infinita, che mi ha fatto vergognare di quelle poche righe "semplici, dirette, naturali" quando di naturale c'era ben poco visto lo studio e l'impegno nello scriverle.. Però le parole ora faticano a scivolare, rimangono impigliate tra un tasto e l'altro. Ho bisogno di più calma per rispondere, devo trovare più argomenti, meno paura di raccontare e qualche domanda da porre, per non far crollare così velocemente, questa "corrispondenza" appena nata, nel triste e buio dimenticatoio di un archivio mail.
Ogni tanto mi chiedo cosa facciano le persone che non sono più nella mia vita, come vivano, cosa stia accadendo loro, se ci sia stata una svolta nel loro percorso dal momento in cui io non ne facevo più parte. Non nel senso da identificarmi come uno "spartiacque" che ha cambiato le loro vite, solo che se fosse davvero successo, per una singola persona, -nulla di eclatante, semplicemente una "svolta" che viene considerata importante da chi la vive- credo avrei raggiunto l'obiettivo della mia vita. Non che abbia mai realmente pensato di porre "cambiare la vita di qualcuno" nella lista della mia Felicità prima d'ora, ma lo è diventato nell'istante in cui ho iniziato a scrivere stasera. Credo che, anche rimanere un semplice ricordo da raccontare durante una sera al bar, abbozzando un sorriso perché, seppur dai contorni offuscato, rimane un'esperienza diversa e forse divertente, sia sufficiente per accontentarsi. Facebook ormai ci tiene informati su tutti i nostri "amici", magari sono persone che abitano nella via accanto alla tua ma che non hai mai visto, forse sono i tuoi compagni di asilo, forse sono sconosciuti di cui non conosci nemmeno l'esistenza se non fosse per quella richiesta accettata. Bastano i 12 secondi di ricerca per scoprire tutto ciò che si vuole sapere sul presente e sui trascorsi che una persona ha voluto condividere con il mondo. Ma chi si è rifiutato di aderire a questa moda, quei fortunati che non sono caduti in questa trappola da cui è impossibile uscire? A quel punto c'è poco da fare per sapere come stanno e cosa succede, non è più così semplice intrufolarsi nelle loro vite senza farsi notare. A volte mi piacerebbe contattarle, scambiare qualche parola, semplicemente sapere come stanno, nulla di più. Poi penso che non dovrei interrompere il corso degli eventi e che se ci dovessimo incontrare di nuovo succederà. Spero si ricordino ancora di me, non per qualcosa in particolare, semplicemente come io mi ricordo di loro; perché mi ricordo di Tutti loro. Una settimana devastante è appena finita mentre un'altra si fa sempre più vicina. Non c'è più tempo da sprecare ormai, tutti i minuti sono contati: in questi giorni si tirano i conti per tutto ciò che hai fatto negli ultimi 8 mesi. È lanciare la moneta in aria, o testa o croce, o vinci o perdi, o tutto o niente. Alla fine non ci saranno vie di mezzo quindi ora ci sono le ultime partite da giocare e serve concentrazione, non sono ammessi errori. So che purtroppo è molto che non scrivo ma come ho appena detto il periodo non è dei migliori. Ieri c'è stato il sospirato esame "FCE, First Certificate English esol"; mai otto ore peggio vissute. L'ansia e il "non ricordo niente" tipici di queste situazioni prendono il sopravvento ma non è tanto lo scritto a preoccupare, quanto il colloquio. Reading e Writing sono convinta siano andate abbastanza bene, qualche dubbio ma tutto sommato sono tranquilla. Quindici minuti di pausa e si riprende con Use of English e Listening che ti fanno dubitare delle tue competenze. Tiri a caso, vai a orecchio sulla soluzione che ti suona meglio, tenti di capire all'ultimo ascolto quale sia la soluzione più giusta tra quelle che ti rendi conto essere tutte quante corrette. Un sospiro di sollievo arriva soltanto quando, confrontandoti con gli altri capisci di non essere stato il solo, che tutti hanno fatto come te, che nessuno ha il coraggio di dire "è andata bene". Quasi tre ore mi dovevano separare dall'orale della 16.30 (cosciente di dovere essere presente mezz'ora prima) quindi, io e la mia compagna di sventura, oltre a domandarci ripetutamente il perché di questa nostra scelta d'affrontare un simile stress, ci siamo messe a parlare in inglese per allenarci. Camminando per strada qualcuno ci ha guardato male, qualcun altro rideva, altri ancora ci hanno prese per matte. Insomma, dopo un'ora e mezza che vagavamo ci siamo messe fuori della sede e, non appena ci siamo sedute, ci hanno invitato dentro con la scusa del "velocizzare la coda anticipando la compilazione dei moduli". Fatto sta che il gruppo davanti a noi alle 15.30 era già esaurito e, trovandoci lì, ci hanno invitato ad entrare. È andato tutto bene, parlare di sè, paragonare le immagini, dire perché i giovani preferiscono le grandi città e altri la campagna. Non appena la frase "Ok, this was the last question, the exam is over" risuona nelle mie orecchie subito guardo la mia amica pensando "è fatta!". Sollevo la borsa da terra, faccio per alzarmi dalla sedia quando, il secondo esaminatore, incaricato di ascoltare l'esame e prendere appunti, mi fa una domanda che non capisco. Mi ha chiesto del mio cognome, qualcosa come "non è italiano vero?" ed io puntualmente devo dire che lo è, aggiungendo "well, I don't know where it comes from but I'm Italian." A mente fredda ho riesaminato tutte le risposte dell'esame, sono convinta che se contasse quella risposta mi rovinerebbe la media di tutto l'esame. Avrei dovuto ammettere di non sapere che origine abbia ma che non mi dispiacerebbe affatto vantare un po' di sangue British che scorre nelle vene. |
![]() E questa sono io..
"I'm standing on the edge of some crazy cliff. What I have to do, I have to catch everybody if they started to go over the cliff. I mean if they are running and they don't look where they are going, I have to come out from somewhere and Catch them. That's all I would do all day." "Innocente? Il peggior tipo di ragazzo. Non lo riesci mai a capire davvero e i genitori lo adorano. Archives
March 2015
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