Chissà perché i viaggi in macchina mi danno sempre questo risultato, ogni volta sento il bisogno di scrivere e va sempre a finire che scrivo di me. Ho sempre voluto fare un viaggio “On The Road”, senza una metà ben definita, giusto per il gusto di girare, non avere schemi precisi, solo indicazioni vaghe, perdersi per ritrovarsi. Dovremmo avere una vita in più solo per poter viaggiare, conoscere altre culture e tentare di capirle fino in fondo (ma, comunque sia, secondo me dovremmo avere anche una vita per leggere, una per meditare, una per sperimentare e così via, alla fine dovremmo averne si e no un centinaio quindi non fa molto testo). Forse avrei bisogno di viaggiare così perché, essendo una maniaca del controllo, essere costretta all'incertezza mi aiuterebbe ad essere più impulsiva. Ho sempre bisogno di avere tutto sotto controllo e uscire dagli schemi spesso è un problema, è una sensazione terribile. Un altro mio problema è il tempo, siamo in un rapporto terribilmente conflittuale e negativo. Sento sempre di non aver mai abbastanza tempo per fare ciò che vorrei e purtroppo proprio il tempo ha interrotto tanto momenti irrecuperabili. Ecco il perché delle "vite in più", il tempo di cui avremmo bisogno per sentisii pienamente soddisfatti, sereni, quella calma che ogni anima sospira.
“La mia dottoressa dice che non possiamo scegliere da dove arriviamo, ma possiamo scegliere dove andare da lì in poi. So che non era una risposta esaustiva, ma era abbastanza per cominciare a rimettere insieme i pezzi.” È una citazione da "Noi siamo infinito", già ho raccontato quanto quel libro mi abbia colpito ma questa è un altro di quei passaggi che mi hanno fatto riflettere a lungo: non decidiamo il nostro passato, ciò che ci precede, ma possiamo cambiare il nostro futuro. È un concetto molto rinascimentale, come quando i protagonisti delle tragedie erano destinati alla caduta a causa del loro tragic flaw, que l'insieme di caratteristiche che delineano i tratti dei vari personaggi: per Macbeth era l'ambizione, per Otello la gelosia, per Faustus la sete di conoscenza, per Amleto la voglia vedetta contrapposta all'irrisolutezza.. Chissà se siamo davvero noi gli artefici dei nostri destini o tutto è già scritto nelle stelle? Comunque sia, sinceramente, preferisco pensare di essere libera piuttosto che legata indissolubilmente ad un fato spesso oltraggioso ed avverso. "Kalon", letteralmente, la Bellezza che è più profonda della pelle, quella intrinseca in ogni oggetto. "Alexithymia", l'incapacità di descrivere le emozioni con parole. Credo che queste due espressioni siano profondamente legate l'una all'altra; come si può prescindere lo stupore dall'alexithymia quando, provando a descriverlo, lo snaturiamo? E cosa, se non la Bellezza può causarci questa incapacità verbale? A queste si può aggiungere forse la sindrome di Stendhal, si dice che lo scrittore stesso ne soffrisse ed è chiamata anche sindrome di Firenze a causa dei molti casi riscontrati nella città, infatti provoca vertigini, tachicardia, confusione e allucinazioni a persone poste di fronte a opere d'arte di straordinaria bellezza; di fronte al Kalon quindi. Penso che l'alexithymia sia uno degli "stati" più profondi che una persona possa provare: non può essere comunicato ma fa continuamente riflettere su ciò che ci ha lasciato senza parole e, riflettendo, bene o male, pensieri vengono combinati con altri quindi alla fine alcune parole saltano fuori (nonostante però non comunichino a pieno ciò che sentiamo). "Scrivo per darmi forza. Scrivo per essere i personaggi che non sono. Scrivo per esplorare tutto ciò di cui ho paura." Credo che Whedon abbia ragione, in tre frasi ha raccolto tutte le motivazioni che mi spingono a scrivere. Qualche settimana fa, la mia professoressa di italiano, mi consigliò di tenere un diario per annotare tutti i miei pensieri; mi disse che mi avrebbe fatto bene, che sfogarmi finalmente mi avrebbe dato sollievo e che, conoscendomi, era proprio ciò di cui avevo bisogno. A volte sento la necessità di scrivere, magari senza sapere cosa o dove arrivare, solo lasciare che i pensieri fluiscano su di un foglio bianco. Ci vuole forza a scrivere ma questo ci ripagherà dandoci altro sostegno, come un serpente che si morde la coda, un cerchio senza inizio né fine. Quando si scrivono, sul foglio ingiallito o sullo schermo luminoso del telefono, i propri pensieri sembra quasi di diventare intoccabili, e, coscienti di questa forza, si possono esplorare sempre più a fondo le paure che ci terrorizzano. Essere intoccabili e vulnerabili al tempo stesso, essere chiunque si voglia essere, dare e contemporaneamente ricevere, essere tutti e uno soltanto: queste forse le ragioni che mi spingono a continuare. “Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle..” "Non sembrava mai bella. Sembrava arte e l'arte non era fatta per apparire bella. Era fatta per farti provare qualcosa." "Se lascerai che ti uccidano, lo faranno". Quanta fiducia possiamo ancora riporre nelle altre persone? Come scegliere di chi fidarsi se, spesso, sono proprio le persone più vicine a noi a voltarci le spalle? Molte persone ci stanno vicino per approfittarsi di noi, perché facciamo loro comodo, perché, al nostro primo segno di cedimento, potrebbero più facilmente spingerci e farci cadere. È quindi per questa stessa ragione che non dobbiamo mostrare agli altri i nostri punti deboli? E, portando questa situazione all'estremo, di non permettere loro di credere nella sola possibilità di ucciderti perché altrimenti lo faranno? Tutti siamo vulnerabili, nessuno può affermare di saper valutare con sguardo critico in ogni situazione chi gli sta intorno. È troppo difficile, se non impossibile, calcolare tutte le variabili di questa equazione. Detto ciò, quando allora è bene basarsi su un'analisi scrupolosamente distaccata piuttosto che al puro istinto? Come capire di chi davvero ci si può fidare? E quindi, qual'è l'atteggiamento giusto? Ad esempio, posto che in una scuola ci siano molti professori diversi, quale è il metodo più corretto da seguire in una classe come la mia, dove caos, mancanza di rispetto e di maturità purtroppo regnano sovrani? Pochi professori, sfortunatamente, sono stati capaci di farsi valere e sono proprio coloro che non hanno lasciato trasparire incertezza, vulnerabilità o punti d'incontro con noi. Gli insegnanti disposti a venirci incontro, aiutarci, dialogare e che quindi hanno mostrato possibilità di incontro con gli studenti sono poco calcolati se non addirittura presi in giro dagli studenti. Hanno mostrato di essere troppo buoni e, al giorno d'oggi la bontà viene spesso sfruttata da chi non ne merita. Personalmente, trovo triste che venga scambiata con l'ingenuità e che sia calcolata ormai come un difetto più che un pregio. Tutti abbiamo vissuto attimi da film. Per qualcuno può essere il primo appuntamento, il primo bacio, quel viaggio che ricordando pare tanto irreale e perfetto da sembrare qualcosa di diretto da un regista premio oscar. Ad esempio uno, di quelli che ho vissuto io, risale a non molto tempo fa; una frase come "Nessuno mi mette ansia quanto te.." che tutto poteva lasciarmi presagire meno ciò che realmente sarebbe successo. Quella frase, quello sguardo, quel fatidico bacio. Sono quegli attimi perfetti che racconti quasi da esterno, come se non volessi compromettere ogni singolo particolare di quel racconto. Così come in quel momento credo che raccontare quegli istanti può finire per denaturalizzarli perché inevitabilmente si perderanno i dettagli che l'hanno reso memorabile. Guardandoci intorno c'è sempre qualcosa che ci colpisce inevitabilmente e resta impresso nella nostra mente. Di oggi ricorderò il sole, una luna bianca e brillante dietro la nebbia in autostrada e due alberi grigi, spogli e dal tronco spezzato. Non so perché, ultimamente mi sorprendo spesso a disegnare o guardare alberi spogli. Forse gli abeti di Natale, che già mi danno tristezza, mi spingono a cercare inconsciamente qualcosa di più naturale e sincero. Solo dei pensieri da viaggio, credo, ma ormai sono arrivata quindi smetto di annoiarvi. Una "tela bianca" è il pane del pensatore. Nessuna citazione questa sera, nessun commento di parole d'altri. La "tela bianca" è la pagina di un libro non ancora scritto, il quadro non ancora dipinto, il blocco di marmo non ancora scolpito, l'armonia non ancora composta, l'idea non ancora approfondita. Tutte quante però hanno la potenzialità di divenire "Opere", "Capolavori", "Modelli per i posteri" a condizione che, la loro causa efficiente, non solo getti lo schizzo da seguire ma che venga mossa da uno stimolo placabile solo con la conclusione del suo progetto. L'assenza di stimoli porta noia, la noia cala sulla curiosità intorpidendola e l'uomo, senza curiosità, non è più un uomo. Questa foto rappresenta le mie tele bianche ed un'altra che ormai non si può più vedere. Questo spazio scrivendo si riempie di parole, colorando la noia del bianco e facendola scomparire piano piano. Quando tante cose accadono e sentiamo solo il bisogno di raccontare qualcosa ecco che la scintilla scatta e l'opera comincia. Stasera, ho dipinto questa mia tela. Era buio là fuori. C'era uno strano silenzio tutt'intorno a quella casa dispersa nel bosco: nessun fremito del vento, nessun fuoco che scoppietta dentro al camino, nessuna voce che ti accoglie quando, finalmente, rientri a casa. Si respirava tensione, angoscia e malinconia in quelle mura spoglie. Ma ben presto il signor Harker sopraggiunse con una torcia che proiettava una luce debole ma sufficiente per vedere l'architrave e la vecchia porta consumata della catapecchia. Si ricordava bene di quella casa. Si ricordava della primavera del 1966 quando la lasciò, lo stesso giorno in cui compiva tredici anni. E la voglia di rimetterla in sesto lo aveva portato fin lì, smuovendolo dalla sua rossa poltrona, su, in città, a quell'ora in cui neanche il vento sibilava tremulo. L'idea di riportare la casa al suo vecchio splendore s'aggirava per la sua mente da anni ma mai prima d'ora avrebbe pensato di intraprendere l'opera. Forse per l'inaspettato articolo del giornale letto tra le macchie di caffè della mattina frettolosa, forse per la chiave ritrovata in fondo al cassetto, forse perché solo ora aveva trovato una buona ragione per ricominciare. Non aveva più nulla da perdere, non provava da tanto l'ardore del sentirsi vivo. Aveva perso ogni cosa, aveva perso tutto tranne le memorie di ciò che già era passato e che non avrebbe potuto riavere. E poi c'era qualcosa. Sembrava che quell'edificio sbilenco e inabitato lo stesse chiamando. Ne aveva avuto la sensazione poco prima. Ma non aveva raccontato la cosa a nessuno. Gli amici del bar avrebbero riso sguaiatamente, quei vecchi smargiassi allegri che bevevano sempre troppo. Ma quella sera, il signor Harker non aveva toccato alcolici. Questo avrebbe potuto insospettirli ma da tempo ormai avevano notato cambiamenti in quell'uomo tanto schivo e misterioso. Nei suoi occhi chiari si potevano leggere i pensieri e le domande che avrebbe voluto nascondere a tutti ma ciò non gli ha mai impedito di essere un grande bugiardo. Come questa notte, quando si era congedato dalla famiglia sparandone una grossa. Aveva detto che un suo caro amico, Gaines, era rimasto in panne e che gli aveva telefonato per farsi dare una mano a spostare la macchina dalla strada e farsi portare a casa. Dopo una leggera perplessità, la credibilità del caro Harker aveva preso il sopravvento e il viaggio era iniziato. Un viaggio spezzato da continue telefonate, fari nella notte e clacson che continuano a suonare ad ogni angolo prima di uscire dalla città. Guidava troppo veloce per quelle stradine scoscese che iniziavano ad addentrarsi nel bosco. Non poteva smettere di pensare a ciò che era successo quell'estate del '66 quando scappò, intimorito e pieno di dubbi, per non tornarci più. Almeno questo era ciò che credeva allora. Ormai era tutto finito. Quelle storie forse avrebbero continuato a toccarlo, ma sempre meno vigorosamente. Buffo come la vita cambi le carte in tavola: passare dalla miseria al diventare uno degli uomini più influenti del centro. Probabilmente non sarebbe mai successo se non se ne fosse andato, se quel fatto non lo avesse cambiato da un istante all'altro. Era solo un ragazzino, non conosceva ancora nulla della vita al di fuori di quel recinto, non sapeva come quell'avvenimento avrebbe potuto stravolgerlo per sempre. Fece bene, quindi, quel giorno, a fare fagotto e andarsene? Probabilmente. Certo se fosse rimasto non avrebbe mai guadagnato le sue prime 50 lire facendo il parcheggiatore in città, badando alle automobili della gente che di rado andava nei centri commerciali, ma quando ci capitava sembrava avesse il portafoglio con la fodera tripla. A volte dava anche una mano a caricare quei sacchetti di paglia enormi, zeppi di cose che per lo più non aveva mai visto. Si capiva chi aveva i soldi e chi no. Ora, in piedi davanti a quella porta ancora aveva paura di aprirla, quasi ci fosse ancora suo padre lì dietro, pronto a fargli del male se non avesse visto ciò e quanto si aspettava nelle sue mani. I minuti passavano e lui rimaneva sull'ultimo gradino del portico con una mano sul legno marcio dell'ingresso ma senza il coraggio di varcare la soglia. Sembrava un pomeriggio qualunque quello che andava aprendosi nella timida giornata di settembre. L'uomo che portava quella pesante valigia rossa ne era convinto. Una giornata ordinaria, che, noiosamente, avrebbe scemato in una sera ancora più tranquilla. Si guardò intorno, circospetto. Nessuno. Eppure si sentiva osservato. Forse, in fondo, qualcosa in quella giornata sarebbe infine accaduto. Si voltò verso la via principale e il suo lento passo divenne man mano più veloce, mentre la convinzione che qualcuno lo guardasse cresceva rapidamente. La valigia era pesante e la città nuova per lui. Ma quella sensazione non lo lasciava tranquillo. Lo infastidiva. Gli dava alla testa. Non era mai stato uno abituato a farsi prendere dal panico. Era un uomo di polso, di quelli soliti ad avere il controllo su tutto ciò che li riguarda. Quella volta però, aveva l'impressione assurda che qualcosa stesse via via scivolandogli dalle mani, come un pezzo di sapone bagnato, per quanto avesse cercato di tenerlo saldo a sè. -Sciocchezze, solo una stupida sensazione- pensò tra sé e sé tentando di ristabilire il controllo. Ma, nonostante ciò, nemmeno lui se ne convinse. Si sedette su di una vecchia panchina nella piazza centrale per riprendere fiato. La valigia non era il solo peso che portava con sé. Mise una mano in tasca, sfilò una sigaretta dal pacchetto ormai vuoto e aspettò, sempre più intimorito. Si ricordava bene cosa era successo l'ultima volta che gli aveva preso quello stato d'animo così confuso, indecifrabile e molesto. Con quei pensieri in mente e la sigaretta nella mano sinistra, guardava lo svolgersi della vita cittadina, con le persone movimentate e silenziose come pesci in un acquario. Osservava da lontano ma più lo faceva, più si sentiva bersaglio di altri. Si sentiva diverso da loro, estraneo da quella realtà ma, allo stesso tempo, l'oggetto del gioco di altri, proprio come quelle persone per lui. L'agitazione e le continue domande si stavano impossessando di lui facendogli dimenticare il resto, fino a scottarsi con la sua stessa cenere.
Mark Twain disse: "Nessuno può darti la libertà. Nessuno può darti uguaglianza o giustizia o qualunque altra cosa. Se sei un uomo, prendila". Ma come si può conquistare la libertà? E perché avremmo bisogno di "conquistarla"/"prenderla" quando, in realtà, la libertà individuale è uno dei diritti umani intrinsechi in ogni persona? Ad ogni individuo devono essere garantite delle libertà inalienabili che vanno riconosciute da parte di tutti. Allora qual'è il limite della libertà? La libertà di un uomo finisce quando si scontra con la libertà di un altro, due cerchi separati che, inevitabilmente, si avvicineranno sempre di più fino a intersecarsi. Dunque, come si più stabilire quale delle due libertà va seguita? Perché seguire le idee di uno piuttosto che dell'altro? Le basi fondamentali di una buona convivenza, eleggere i pensieri comuni, perseguire un obiettivo utile a entrambi, eliminare o limare le divergenze con accordi e compromessi. In fondo c'è sempre stato un compromesso e sempre ci sarà. Tutti più o meno si sono trovati nella situazione simile: "mamma posso uscire?", "hai sistemato la tua camera?"; classica domanda retorica alla quale sussegue "non esci finché non ordini!". Compromesso svantaggioso in molti casi, ma pur sempre un compromesso. Siamo e saremo sempre vincolati ad altro quindi, quanto possiamo realmente dire di essere liberi?
E se Pirandello avesse davvero ragione? Se tutti noi stessimo indossando una maschera? Cosa ci distinguerebbe dagli attori? Forse la coscienza di indossarla? Forse la molteplicità di ruoli complementari e opposti che loro possono alternare? La maschera ci può nascondere, proteggere, riparare dal dolore; può darci un falso senso di sicurezza, lontano dalla realtà che teniamo rinchiusa. Proprio per questo, forse, Nietzsche affermò: "Tutto ciò che è profondo ama la maschera. Ogni spirito profondo ama la maschera". Vivere perennemente dietro ad essa però non ci permetterà mai di godere di una vita autentica. Significa dividere la realtà in compartimenti stagni: la sfera che vogliamo proteggere dal mondo filtrato da uno schermo impercettibile agli occhi degli altri. Ma se questo è vero allora quando possiamo affermare di essere davvero noi? Come può, chi ci sta accanto, distinguere quando fingiamo da quando abbandoniamo ogni protezione mostrando il lato che teniamo nascosto al resto del mondo? |
![]() E questa sono io..
"I'm standing on the edge of some crazy cliff. What I have to do, I have to catch everybody if they started to go over the cliff. I mean if they are running and they don't look where they are going, I have to come out from somewhere and Catch them. That's all I would do all day." "Innocente? Il peggior tipo di ragazzo. Non lo riesci mai a capire davvero e i genitori lo adorano. Archives
March 2015
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